Cari confratelli ed amici,
tra i tanti frutti che ci ha lasciato il recente viaggio di Papa Francesco in Cile e in Perù ce n’è uno che chiama direttamente in causa il nostro ministero episcopale: è l’invito a «chiedere a Dio che ci dia la lucidità di chiamare la realtà col suo nome, il coraggio di chiedere perdono e la capacità di imparare ad ascoltare quello che Lui ci sta dicendo». Essere padri nella fede significa essere umili servitori di tutto il popolo cristiano; pastori che sanno ascoltare, perdonare e, soprattutto, affrontare «la realtà così come ci si presenta» e non come vorremmo che fosse, in base alle nostre idee o ai nostri progetti .
Paolo VI diceva che «uno degli atteggiamenti caratteristici della Chiesa dopo il Concilio è quello d’una particolare attenzione sopra la realtà umana, considerata storicamente; cioè sopra i fatti, gli avvenimenti, i fenomeni del nostro tempo». Non a caso, «una parola del Concilio» che è ormai «entrata nelle nostre abitudini» consiste nello scrutare «i segni dei tempi». Attraverso questa locuzione, concludeva Montini, «il mondo per noi diventa libro» perché la «scoperta dei “segni dei tempi” è un fatto di coscienza cristiana; risulta da un confronto della fede con la vita».
La nostra lettura del libro del mondo, ieri come oggi, non è, in alcun modo, quella dei politici, degli scienziati o degli intellettuali, ma è quella di pastori che si impegnano a discernere questo libro con la luce di Cristo. Del resto, sono proprio la nostra esperienza cristiana, la frequentazione del Vangelo e la celebrazione dei sacramenti a chiederci – vorrei dire: a imporci – di non restare ai margini di quanto vivono la nostra gente e il nostro Paese. …
S. Em. Card. Gualtiero Bassetti