“Nuovo” è l’aggettivo che ricorre più insistente nella pagina dell’Apocalisse (21,1-5a), la quale lo riferisce al cielo, alla terra, a Gerusalemme, a tutte le cose, in un crescendo che, in un certo senso, dal futuro si estende ad abbracciare il presente. Secondo un movimento in qualche modo inverso, dal presente verso il futuro, si orienta il nuovo – come viene definito – comandamento affidato da Gesù ai discepoli (Gv 13,31-33a.34-35). Tutto, da qui in avanti, è chiamato ad essere trasfigurato dalla novità di Cristo, dal suo amore, ma nella certezza che tale è la destinazione futura di tutto. Quale rapporto tra il nuovo della visione apocalittica e il comandamento nuovo del Vangelo di Gesù?
Una parola chiave della pagina evangelica può essere colta nel verbo glorificare, anch’essa ricorrente nel breve volgere di due frasi: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato». E l’ora in cui Giuda esce dal cenacolo determinato a consumare il suo tradimento nei confronti di Gesù, per il quale comincia così il conto alla rovescia che lo condurrà fin sulla croce. Che gloria è mai questa, che viene proclamata solennemente – in una sorta di inno di giubilo – nell’atto stesso in cui diventa evidente, e altrettanto evidentemente viene abbracciato, un destino di fallimento e di morte? In realtà, Gesù è vittorioso di fronte al suo destino proprio perché lo abbraccia; egli rimane se stesso, fedele a se stesso e alla sua missione fin dentro il momento in cui tutto sembra finito.
S.E. Mons. Mariano Crociata