1. – Siamo ad Assisi, pellegrini. Anche noi Vescovi, come Francesco ai piedi del Crocifisso di San Damiano, chiediamo all'Altissimo e glorioso Signore Dio «fede diricta, speranza certa, carità perfetta, humiltà profonda, senno e cognoscemento»1.
Davvero con «frate Francesco poverello», che noi veneriamo nell'VIII centenario della nascita, Dio continua a restaurare la sua Chiesa, illumina il mondo e fa cantare tutte le sue creature: belle, radiose, chiare, preziose e liete.
«Laudato sie mi Signore cum tutte le tue creature!». Siamo venuti ad Assisi per ritrovare l'intensità di questo cantico della creazione alla gloria di Dio.
Un cantico capace di far vibrare i sentimenti puri dell'animo umano, sempre, in tutta la terra.
Un inno di fede, che si sprigiona libero dove non c'è odio e peccato, torpore dello spirito, schiavitù del denaro e del piacere; dove il cuore confida in Dio, ne sente i passi familiari, si apre all'abbraccio dei fratelli e riconquista, nello Spirito, l'armonia originaria del creato.
Non è il figlio spensierato a gaudente, se pur buono, di Pietro di Bernardone a condurci in questa rivelazione. È Francesco quasi cieco e vicino a morte, tra i suoi frati, dopo una vita penitente e crocifissa per amore del Padre, mentre, al sorgere di «frate sole», si risveglia da una notte di dolore.
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