Palermo, 24 novembre 2005
tavola rotonda
intervento di S.E. Mons. Giuseppe Betori
Il cammino della Chiesa italiana
dal Convegno ecclesiale di Palermo ’95
1. Viviamo oggi una tappa, una delle prime tappe del cammino che dovrà condurre le nostre Chiese d’Italia verso l’appuntamento di Verona 2006. A noi, in questo momento, è chiesto di porre sulla strada una pietra miliare, che segni la distanza percorsa fino ad oggi da quando, dieci anni fa, proprio qui a Palermo, ebbe luogo l’appuntamento decennale della Chiesa italiana e, nel contempo, provare a dare qualche indicazione su un sentiero ancora da disegnare, attento alle asperità del terreno, profondo nel segno, sicuro nella direzione.
La strada a cui mi riferisco è quella solcata in questi ultimi anni dalla Chiesa italiana all’interno di un contesto caratterizzato da più fattori: la permanente incidenza del Concilio Vaticano II, evento che continua a mantenere “in movimento” tutto il mondo ecclesiale; l’identità di una Chiesa nazionale, sicuramente cresciuta grazie agli orientamenti pastorali di questi quattro decenni; il mutamento epocale che caratterizza il contesto culturale su molti versanti, come quelli della scienza, della comunicazione, dell’economia, ecc.; la precarietà di una convivenza sociale in cui le istanze della soggettività premono, non raramente con effetti devastanti, sulle forme condivise di costumi e di norme; non ultima la pressante spinta che vari ambienti culturali esercitano per confinare la sfera religiosa in una dimensione puramente privata. Sono soltanto alcuni tra i molti, anzi i moltissimi temi che interpellano oggi la Chiesa. Sono considerazioni che ci spingono a fare memoria di quanto costituisce un patrimonio delle nostre Chiese acquisito lungo un cammino che cominciò proprio qui, a Palermo.
Voglio anzitutto ricordare il contesto in cui quell’appuntamento si svolse. Alle spalle del Convegno stavano una serie di tensioni, anche ideologiche, che avevano prodotto, per almeno due decenni, ferite non superficiali nella comunità cristiana. Erano attriti da cui era nate fratture tra le aggregazioni ecclesiali, tra queste e le parrocchie, tra progressisti e tradizionalisti, per usare categorie con cui reciprocamente ci si censurava. Gli attriti, in verità, erano andati affievolendosi negli ultimi tempi, dopo aver toccato il loro apice a metà degli anni Ottanta. In una fase a noi più prossima, il tessuto pastorale era stato percorso invece dal sovrapporsi di temi, di ambiti, di impegni, tutti percepiti come urgenti: chi reclamava nell’azione pastorale il primato della famiglia e chi chiedeva la precedenza per i problemi del mondo giovanile; chi si schierava per l’importanza delle comunicazioni sociali e chi si dichiarava per la priorità dell’agire solidale verso antiche e nuove povertà, ecc. Un giustapporsi di urgenze, ciascuna appena connessa con le altre, se non addirittura percepita come alternativa: ne scaturiva la frammentazione e la settorialità dell’azione pastorale.
Se questi erano alcuni dei tratti che connotavano l’esperienza ecclesiale, attorno ad essa erano andati maturando ancor più decisivi passaggi culturali e sociali: i mutamenti antropologici legati alle istanze soggettivistiche e alle simultanee spinte alla omologazione culturale; la perdita progressiva dei legami sociali, sotto la pressione delle istanze localistiche, della crisi delle istituzioni e dei partiti; la fine, in questo contesto, della unità politica dei cattolici nella forma del sostegno ad un unico partito; la crescita ma anche il limite di una presenza dei cattolici nella società spesa prevalentemente sul versante dell’azione solidale e del volontariato. Anche qui ho accennato solo ad alcuni fattori di una situazione assai più complessa e variegata.