AI CONFRATELLI NELL'EPISCOPATO
E ALLE LORO COMUNITÀ DIOCESANE
L'insegnamento ultimo e massimo datoci dal nostro Maestro e Signore Gesù è stato quello dell'amore, un amore di donazione e di rinuncia simile al Suo che ha dato la vita per noi (cfr. Gv 15, 13). La pratica di questo insegnamento è stata da Lui stesso definita «segno distintivo» dei cristiani (cfr. Gv 13, 35) e riferimento per l'esame ultimo della nostra vita (cfr. Mt 25, 31-46). In questo spirito si sono mossi, nel nostro continente, i grandi evangelizzatori e rinnovatori della vita cristiana. E le popolazioni trovarono nel contatto tra la propria tradizione e il messaggio cristiano la migliore affermazione dei loro valori. Basti ricordare, tra i tanti, il grande patriarca dell'Occidente San Benedetto da Norcia, che un i popoli nuovi del nord e quelli del sud e insegnò ai suoi figli e seguaci la pratica della feconda regola: «preghiera e lavoro».
Nei nostri tempi, in situazioni sociali e politiche ben diverse, abbiamo esperimentato da una parte il movimento, finora sostanzialmente forzato, di migliaia di persone, disperse dalla divisione fratricida o dall'egoismo collettivo e individuale e, dall'altra, la fame di una migliore giustizia e la ricerca ansiosa di ideali validi per un impegno di vita.
Le esperienze del passato e le speranze per l'avvenire concorrono a configurare una società in cui, bandita definitivamente ogni guerra, si abbia una convivenza pacifica e feconda di popoli. Il dibattito sulla identità e la vocazione dell'Europa si fa in questo senso più serrato e impegnativo. Esso non ci deve trovare estranei: già dai primi secoli fu detto: «Ciò che l'anima è nel corpo, sono i cristiani in questo mondo» (Lettera a Diogneto).
Dopo la lettera su «le responsabilità dell'Europa», sottoscritta nel luglio scorso dalle Conferenze Episcopali di 15 paesi, riteniamo provvidenziale e opportuno che l'Ufficio per l'Emigrazione riprenda il tema e inviti innanzitutto le comunità ecclesiali e, attraverso queste, anche gli organismi civili e la intera comunità nazionale, a riflettere e a impegnarsi nel settore delle migrazioni, nel quale l'assuefazione di molti è spesso pari al disimpegno.
Si tratta, in definitiva, di fare una scelta a favore dell'uomo, in modo che organizzazione ed economia si pongano al suo servizio.
E' questo il senso più vero del tema della «Giornata Nazionale delle Migrazioni» di quest'anno, che presenta gli emigrati come «costruttori d'Europa»: il contributo umano di lavoro e di sacrificio, di dignità e di attaccamento alla famiglia, di disponibilità e di accettazione degli altri, dato da milioni di nostri fratelli in tutto il mondo e particolarmente nell'Europa che va formandosi, è davvero grande, va tenuto in doverosa considerazione e merita la riconoscenza di tutti.
Nella domenica 20 novembre si rifletta, quindi, e si preghi perché l'Europa in divenire sia una Europa dell'uomo e per l'uomo, ma dell'uomo integrale, così come ce lo presentano la Rivelazione divina e la tradizione cristiana.
Gli attuali oltre 5 milioni di emigrati italiani, di cui due e mezzo in Europa, attendono da noi questa solidarietà.
San Benedetto, patrono d'Europa, avvalori questo nostro proposito, mentre di cuore tutti salutiamo e benediciamo.
Roma, 15 ottobre 1977