MESSAGGIO DELLA PRESIDENZA
AI CONFRATELLI NELL'EPISCOPATO
E ALLE LORO COMUNITA' DIOCESANE
La «Giornata delle Migrazioni» che la Chiesa italiana celebra domenica 18 novembre prossimo, deve provocare un impegno permanente delle nostre comunità cristiane a porsi con coraggio e predilezione evangelica dalla parte di quanti sono costretti – come gli emigrati – ad affrontare una esistenza più dura, e a compiere gesti di promozione, di solidarietà sociale, di sollecitudine pastorale.
E' stimolante lo stile apostolico di Papa Giovanni Paolo II. In pellegrinaggi sempre più frequenti «al Santuario vivente del Popolo di Dio», proclama con fede le certezze, le speranze e i richiami del Vangelo; dimostra una spiccata simpatia per l'uomo, per ogni uomo; si accosta con commossa tenerezza a chi porta impresse nella propria vita le stimmate del dolore e della fatica.
La «Giornata», organizzata e animata dal nostro Ufficio per l'Emigrazione (U.C.E.I.), è un invito a entrare, con questo stesso stile, nella vicenda dell'emigrato, a camminare al suo fianco, a chiedere per lui aiuto e giustizia. Quest'anno la celebrazione ci sollecita a una condivisione ancora più piena e affettuosa perché, nel contesto dell'Anno Internazionale del Fanciullo, rivolge premurosa attenzione ai piccoli, emigrati o «figli dell'emigrazione».
Il solo elenco di alcuni dei loro problemi è sufficiente a inquietare la nostra coscienza: non di rado, duro sradicamento da ambienti sociali, culturali, religiosi; traumatico impatto con popolazioni, usi, tradizioni, scuole, lingue e dialetti diversi; disagi per l'insediamento in città, in malsane abitazioni dei centri storici o inanonime periferie; penose esperienze di distacco – anche fin dalla tenera età – dai genitori, costretti ad emigrare ambedue e ad affidare i figli ai vecchi nonni o a istituzioni assistenziali; provvisorietà di amicizie, di itinerari ecclesiali, di attività scolastiche. E' proprio sulla scuola che la Giornata di quest'anno richiama la nostra attenzione: un problema di fondamentale importanza quando si pensa che solo nei Paesi d'Europa i bambini e i ragazzi italiani in età scolare sono 3.000.000. E' davvero necessaria una «scuola senza frontiere», una scuola cioè che apra il ragazzo alle più ampie dimensioni e non lo costringa in nessuna mortificante riduzione delle sue esigenze intellettuali, sociali e spirituali. Né possiamo ignorare le esigenze dei figli degli immigrati presenti nel nostro Paese.
A questi, e a molti altri problemi, singoli e comunità, governanti e organismi internazionali, tutti siamo chiamati a dare risposte serie e concrete. La sollecitudine per il bambino – ha detto il Papa – «è la prima e fondamentale verifica della relazione dell'uomo all'uomo».
In questa luce la Presidenza della C.E.1. segnala ed affida il delicato problema alla sensibilità delle Chiese locali italiane, sollecitandone oltre che una attenta riflessione anche un impegno operativo, segno visibile di fede e carità vissuta.
Roma, 3 novembre 1979.