«Sentirete parlare di guerre e di rumori di guerre … Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno,..» (Mt 24, 6-7). La condizione lacerata e lacerante dell'umanità, che Gesù evoca con queste parole, rischia di non scuotere più le coscienze dei cristiani e degli uomini di buona volontà. Alle guerre ci stiamo abituando e l'invito del Signore a non perdere la fiducia viene troppo spesso sostituito da atteggiamenti di fatalismo e di estraneità. Dovremmo invece, secondo la parabola del buon samaritano che la liturgia ci faceva meditare domenica scorsa (cf Lc 10, 25-37), farci carico di ogni uomo che giace mezzo morto lungo la strada della storia.
Sull'altra riva dell'Adriatico, non lontano da noi, si sta consumando una tragedia immane: è in atto un disegno di occupazione del territorio con violenza brutale che non risparmia gli inermi, specie le donne, e arriva allo sterminio della popolazione. Il dramma senza fine della Bosnia lo vediamo ogni giorno, con i nostri occhi, attraverso i mezzi di comunicazione sociale. Si tratta, secondo la parola del Santo Padre, di «una disfatta della civiltà», di «azione e metodi barbari», che sono «crimini contro l'umanità». Rimanere indifferenti, non fare nulla, significa in realtà farsi complici.
I governanti delle nazioni, particolarmente di quelle europee, hanno il gravissimo dovere morale di mettere in opera quanto occorre per fermare un massacro che ha le proporzioni di un vero e proprio genocidio. A loro rivolgiamo un pressante appello, perché si adoperino, con energia e saggezza, per la difesa di tante vite umane e la restaurazione di una civile convivenza.
Tutti però siamo chiamati a costruire la pace. Invitiamo quindi le comunità ecclesiali a promuovere iniziative di preghiera, di penitenza e di solidarietà, nei tempi e nei modi giudicati più opportuni. Tali iniziative dovrebbero non ridursi a episodi isolati, ma costituire uno stimolo per sviluppare un impegno assiduo, personale e comunitario.
La preghiera ottiene l'intervento più efficace, quello di Dio, il solo che possa sradicare dai cuori degli uomini le radici stesse della guerra. La penitenza porta ognuno a riconoscere la propria parte di responsabilità e a costruire rapporti di pace, cominciando dagli ambienti e dalle situazioni della vita quotidiana. La concreta solidarietà verso le popolazioni sottoposte ad atroci violenze è una verifica del nostro essere cristiani e uomini autentici. Generosi aiuti, morali e materiali, sono stati già offerti dalla Chiesa italiana in tutte le sue espressioni, dai cittadini e da numerose istituzioni del nostro paese: auspichiamo vivamente che tale fattiva partecipazione alle indicibili sofferenze del nostro prossimo non conosca stanchezze, anzi si intensifichi ulteriormente e si coordini nel modo più efficace possibile.
Mentre esprimiamo gratitudine a coloro che, anche a rischio della propria vita, si pongono ogni giorno a servizio di chi più soffre a motivo della guerra, esortiamo quanti credono nel “Signore della pace” e tutti gli uomini di buona volontà perché non si rassegnino alla ineluttabilità della guerra, ma continuino a «sperare contro ogni speranza» (Rm 4, 18) e cerchino fermamente di aprire la «via della pace» (Lc 1,79).
Roma, 19 luglio 1995
LA PRESIDENZA
della Conferenza Episcopale Italiana