Il Pontificio Consiglio per i testi legislativi, con lettera circolare del 13 marzo 2006 (prot. n. 10279/2006), inviata ai Presidenti delle Conferenze Episcopali nazionali, ha fornito opportune precisazioni circa la natura e le conseguenze giuridiche dell’atto formale di separazione dalla Chiesa cattolica, contemplato dai cann. 1086, § 1, 1117 e 1124 del Codice di diritto canonico. Dopo aver enumerato gli elementi che lo contraddistinguono (n. 1), la circolare ricorda che tale atto – configurandosi come rottura dei vincoli della comunione ecclesiastica – non ha una mera rilevanza giuridico–amministrativa, cioè non coincide con l’uscita dalla Chiesa nel senso anagrafico con le eventuali conseguenze civili che tale atto può assumere in alcuni Paesi (n. 2). In quest’ultimo caso, infatti, potrebbe restare intatta la volontà di perseverare nella comunione ecclesiastica (n. 3). La circolare richiede che l’atto di separazione sia manifestato dall’interessato in forma scritta, davanti all’Ordinario o al parroco proprio (n. 5). Al fine di fugare ogni possibile dubbio interpretativo, il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, con lettera del 28 giugno 2006 (prot. n. 549/06), ha chiesto al Pontificio Consiglio se detta affermazione sottenda la necessità di presentarsi sempre di persona davanti all’Ordinario o al parroco proprio, o se invece possa essere sufficiente l’invio dell’istanza in forma scritta da parte dell’interessato. Il Presidente del Pontificio Consiglio per i testi legislativi, rispondendo al quesito in data 24 novembre 2006 (prot. n. 10502/2006), ha ribadito che spetta esclusivamente all’autorità ecclesiastica accertare l’esistenza nel fedele delle libere e coscienti disposizioni di volontà necessarie perché l’atto di separazione sortisca gli effetti canonici e la conoscenza da parte del medesimo delle conseguenze del suo gesto. A tal fine, è sempre auspicabile il contatto personale con il fedele.
Nel caso, tuttavia, in cui l’interessato rifiuti il contatto personale, gli si dovrà inviare una lettera nella quale si esponga con chiarezza e delicatezza che un vero atto di defezione rompe i legami di comunione con la Chiesa. Sarà, altresì, necessario chiarire che tale gesto, qualificato come atto di vera apostasia (oppure di eresia o di scisma, a seconda delle eventuali ragioni addotte dal fedele), costituisce un delitto nell’ordinamento ecclesiastico, per il quale viene comminata la scomunica, illustrandone anche le conseguenze disciplinari. Scopo della comunicazione è invitare motivatamente il latore dell’istanza a ponderare ed eventualmente mutare la decisione di separarsi dalla Chiesa cattolica. Qualora tale invito non sia accolto o la lettera rimanga senza risposta, sarà evidente per via documentaria la volontà dell’interessato di porsi formalmente in una situazione canonica di rottura dalla comunione ecclesiale, con le relative conseguenze penali canoniche, e si potrà procedere ad annotare l’avvenuta defezione nel registro dei battesimi.
Si riportano, di seguito, la circolare del Pontificio Consiglio per i testi legislativi, la lettera del Presidente della CEI e la lettera di risposta del Presidente del medesimo Consiglio.