1. Guardare alle necessità degli uomini con lo sguardo di Cristo
Nel ritorno quieto e silenzioso della natura, riconosciamo la fedeltà di Dio alla sua promessa: «La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto» (Gn 1,11). Ma se nel contatto con la meraviglia dei prodotti della terra percepiamo il dono inesauribile della Provvidenza divina, con tristezza, dobbiamo anche constatare come la creazione «geme e soffre nelle doglie del parto» in attesa del compimento della speranza di essere liberata «dalla schiavitù della corruzione» (Rm 8,21–22). In particolare non possiamo nasconderci la realtà di un mondo che non ha ancora risolto il problema della fame e dove sussistono disparità di sviluppo di gravità tale da porre intere popolazioni di fronte a gesti disperati.
Occorre rimuovere questa vergogna dall’umanità con appropriate scelte politiche ed economiche di respiro planetario. E necessaria «un’azione concreta e tempestiva per garantire a tutti, in particolare ai bambini, la “libertà dalla fame”» (Benedetto XVI, Parole alla recita del Regina Caeli, 21 maggio 2006).
Ci conforta il Messaggio che Benedetto XVI ha offerto alla nostra riflessione
2. Responsabilità e solidarietà
L’attenzione alle necessità alimentari dei popoli parte da un’attenta valorizzazione delle potenzialità della nostra terra. Ci si deve muovere in un contesto di responsabilità sociale dell’impresa e in un ritrovato ruolo di un’agricoltura che può tutelare l’ambiente e puntare alla caratterizzazione di prodotti che sono espressione del territorio; cioè, delle sue peculiarità naturali inserite in una tradizione e in una cultura che ne fanno qualcosa di più di una merce, ovvero, una manifestazione di senso connessa alla cultura della vita.
In una realtà, inoltre come quella italiana, articolata e ricca di protagonisti che incarnano una pluralità di interessi di fronte alle sfide della globalizzazione, è importante identificare e costruire insieme un orizzonte imperniato su un’attività agricola multifunzionale, capace di valorizzare tutte le dimensioni del suo rapporto con il territorio.
Questo orizzonte è, allo stesso tempo, un obiettivo percorribile e un ideale, perché in esso convergono numerose istanze che ne delineano lo spessore strategico e valoriale: dall’esigenza di diversificazione all’interno di mercati internazionali in cui le spinte alla standardizzazione potrebbero lasciare ben pochi spazi alla nostra produzione agricola, alla rigenerazione dell’agricoltura e delle realtà socio–economiche locali secondo percorsi attenti alle radici dell’identità e aperti all’interdipendenza globale, all’informazione e responsabilizzazione del rapporto fra il cittadino–consumatore e i produttori agricoli, del rapporto tra consumo e alimentazione.
Alla luce di quest’ultimo punto, anche la questione agricola locale e nazionale, oltre a quella del rapporto tra agricolture e mercati del Nord e del Sud del mondo, viene ad incidere su quella libertà e responsabilità del cittadino–consumatore che, insieme alla responsabilità sociale delle imprese e delle istituzioni, è al centro di ogni percorso di superamento dei limiti, personali e comunitari, del consumismo di massa.
Quest’orizzonte orienta verso un contesto economico agroalimentare internazionale di competizione–collaborativa, piuttosto che di competizione–conflittuale. Esso prefigura una tavola imbandita con i prodotti e il contributo delle tradizioni alimentari del pianeta, invece dell’omogeneizzazione e delle manipolazioni dei grandi fenomeni consumistici. In breve, esso rappresenta un modello di sviluppo che include, sollecita la partecipazione, la responsabilizzazione degli agricoltori e degli imprenditori agricoli, promuove il dialogo con l’intera società; adattandosi e calandosi nelle diverse situazioni delle realtà rurali del pianeta, apre la porta alla promozione dello sviluppo umano di tutte le persone e di tutta la persona.
Roma, 11 luglio 2006