Ha preso le mosse dall’esperienza quotidiana, mons. Mariano Crociata, nel suo rivolgersi ai giovani per spiegare come la fede, prima ancora di essere una virtù teologale, sia “un atteggiamento umano caratteristico, una dimensione costitutiva del nostro essere e della nostra vita”, senza il quale non si vive, non si intessono relazioni, non ci si rapporta con la realtà.
A fare la differenza, ha fatto capire il Vescovo, è l’ancoraggio a cui questa fedsi lega: e se è destinato a rivelarsi fallace quello riposto nel possesso dei beni, anche la rincorsa del riconoscimento, della stima, dell’amore degli altri può risolversi facilmente in “una distorsione che trasforma le relazioni in una prigione insopportabile”.
Di qui la conclusione di mons. Crociata: “Non c’è possibilità di dare solidità alla propria vita senza cercare un fondamento ulteriore rispetto alle cose di cui disponiamo e rispetto anche agli altri, da cui pure dipendiamo e con cui siamo legati”.
Nella riflessione, il Segretario Generale della Cei ha dato voce al desiderio di Dio quale autentica sicurezza; un Dio che non rimane astruso o lontano, ma ha il volto di Gesù. Incontrare lui è via di libertà “da ogni possibile schiavitù di cose e persone, poiché la sicurezza della nostra vita non ha bisogno di essere cercata nel surrogato di un possesso pur sempre alienabile né in creature finite come noi, il cui riconoscimento e apprezzamento è pur sempre sottoposto alle evenienze imponderabili della revoca improvvisa o semplicemente degli imprevisti esistenziali”.