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Per una famiglia
nello stile di Nazaret

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Alla luce degli Orientamenti pastorali del decennio, il seminario in corso a Loreto sulla direzione spirituale a servizio dell’orientamento vocazionale, valorizza l’alleanza con la famiglia: “In nostro occhio è rivolto alle resistenze che i genitori, nel loro accompagnare i figli nel discernimento, spesso esercitano, ma anche alle risorse che mettono in campo – osserva don Nico Dal Molin, direttore del Centro Nazionale Vocazioni -: vorremmo aiutarli a riscoprire la loro esperienza vocazionale di coppia e a divenire, senza remore, timori e tentennamenti, il grembo fecondo dell’educazione alle scelte dei loro figli”.
Nella sua introduzione ha ricordato come sia eloquente proprio la collocazione del seminario a Loreto, presso la Santa Casa:  “Questo luogo ci ricorda la quotidianità della vita della S. Famiglia; ci ricorda un luogo a cui la gente del tempo guardava con un certo sospetto e insieme con malcelata noncuranza: «Cosa mai può venire di buono da Nazaret?»…”. E ha aggiunto: “La pastorale vocazionale e la riscoperta del ministero della consolazione nell’accompagnamento e nella direzione spirituale non fanno parte della logica delle cose straordinarie e dei grandi eventi: entrano, invece, con pienezza nella quotidianità di Nazaret”.
E sulla famiglia e la comunità cristiana mercoledì 27 aprile si è soffermato don Paolo Gentili: “Quando la famiglia non ha realmente accompagnato nella crescita – ha rilevato il direttore dell’Ufficio Nazionale per la pastorale della famiglia – occorre una lenta e delicata opera di ricostruzione di orizzonti valoriali solidi, che mostrino il fascino del dono di sé come pienezza di vita. Ma anche quando non c’è una comunità cristiana di riferimento, dove si è cresciuti pienamente, tutto diviene più difficile”.
Dopo aver ripreso l’immagine della famiglia quale “chiesa domestica” e quindi di ciò che la “profuma della vita buona del Vangelo”, don Gentili ha richiamato la necessità di “riaprire alle nuove generazioni l’orizzonte luminoso di un amore esigente: non possiamo permettere che si accontentino di falsi modelli offerti da diffusi programmi televisivi, dove il benessere corrisponde al successo facile, alla cura estetica divinizzata, o al profitto economico perseguito ad ogni costo”. Si tratta di un impegno, ha aggiunto, che richiede il sostegno convinto dell’intera comunità cristiana: “Non si tratta solo di promuovere nelle comunità parrocchiali la nascita di Gruppi per giovani sposi e di chiari itinerari di fede in chiave nuziale, ma di rendere le comunità cristiane una vera “Famiglia di famiglie”, come viene precisato nel documento dei Vescovi sull’educazione: «La famiglia va amata, sostenuta e resa protagonista attiva dell’educazione non solo per i figli, ma per l’intera comunità»”.
Nella mattinata di giovedì 28 mons. Francesco Lambiasi ha invitato a guardarsi da tre tentazioni che impoveriscono testimonianza cristiana: “l’inadeguatezza, cioè il sentimento di non sentirsi all’altezza del messaggio; l’orgoglio, cioè il compiacimento per il privilegio del compito richiesto, per la fiducia che ci viene accordata; ma forse la tentazione più sottile è la tristezza: per l’incorrispondenza dell’ascolto, per la scarsezza dei risultati, per l’incredulità o l’indifferenza dei destinatari…”. Il Vescovo ha incoraggiato i presenti a riconoscere i segni della presenza del Signore anche nel tempo presente, ricordando che “la testimonianza è questione di innamoramento…”.Un’ultima relazione è stata affidata a a Gilberto Gillini e Maria Teresa Zattoni, psicologi e psicoterapeuti (“La voce dei genitori nel discernimento vocazionale dei figli”).
“La famiglia non è stata pensata da Dio come un albergo dove farci alloggiare in questo esilio sulla terra, ma come un grembo dove essere educati ai valori più alti, una palestra per saper vivere sulla terra tenendo fisso lo sguardo al cielo” ha affermato la biblista Rosalba Manes: “Essa è scuola di fede, dove si impara la sottomissione, la docilità e la corresponsabilità, è il primo luogo della “degustazione” della comunione dei santi, è infine l’epifania tangibile della comunione d’amore che abita il Dio Trino”.
Di qui il richiamo: “La famiglia non dev’essere solo l’oggetto dell’azione pastorale della Chiesa, ma la scuola che rende presente il significato dell’investimento di sé: in essa si coltivano l’abbraccio costoso e gioioso alla quotidianità, la fedeltà agli impegni, la responsabilità, l’ascolto dell’altro, la fecondità, la disponibilità a spendersi, a trasfigurarsi in dono”. Per questo – ha proseguito – “è il luogo dove s’innesta una vocazione e dove questa viene “vagliata”, “provata”, dove cresce, e dove innanzitutto va ascoltata”. Una vocazione – ha spiegato la biblista – è infatti un itinerario, una “salita” verso la libertà interiore, quella che permette di essere libero da tutti per essere servo di tutti, e che ha bisogno di quella rinnegare se stessi che si apprende solo a partire dall’atmosfera del dono di un’autentica famiglia”.
Il rapporto tra famiglia e vocazione è stato approfondito venerdì 29 da mons. Franco Giulio Brambilla, Vescovo ausiliare di Milano: “La famiglia è il luogo originario della vocazione, perché ci dona la vita come promessa e apre lo spazio e il tempo perché la promessa possa essere scelta e portata a compimento. La vocazione della famiglia è render possibile la vita come vocazione, prima della coppia e poi dei figli”.
E, riprendendo l’episodio evangelico della perdita e del ritrovamento di Gesù nel tempio (Lc 2,40-52), mons. Brambilla ha aggiunto: “La famiglia che ha generato non dà solo la vita, ma deve lasciare che la vita parta, cioè che segua la promessa che porta con sé. Ogni partenza è una perdita, ogni perdita chiede una nuova ricerca, ogni ricerca nuova comporta un trovare in modo diverso”. Di qui l’invito a genitori e a educatori ad essere “testimoni fino al martirio, cioè al prezzo della vita che si è sperimentata come buona, e che si è disposti ad attestare ai figli nel suo carattere buono”.
27 Aprile 2011

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