“La missione non è tanto nell’andare lontani o nel fare cose straordinarie, ma nell’essere testimoni credibili del Cristo risorto nella nostra società ormai scristianizzata”. È chiaro e diretto il messaggio che mons. Ignazio Sanna, vescovo di Oristano, ha voluto consegnare ai giovani riuniti per il terzo giorno di catechesi.
“Tutta la Chiesa è missionaria nella sua natura e nella sua essenza”, ha insistito, sottolineando che “la missione non è più un luogo, ma un modo di essere e di agire; non è più riservata ai missionari che portano l’annuncio del vangelo ai pagani, ma è estesa a tutti i battezzati che vivono con coerenza la propria fede”.
“L’annuncio missionario – ha spiegato – passa da un atteggiamento chiuso di difesa della fede ad un atteggiamento aperto di testimonianza della medesima”. Annunciare cioè non significa “difendere posizioni acquisite o innalzare muri di divisione”, ma creare “ponti di amicizia e di dialogo con la creatività dell’intelligenza e la fantasia dello Spirito”.
Tuttavia, ha ammonito il Vescovo, “è necessario ricordarsi che per parlare a Dio bisogna trovare le parole giuste e per parlare di Dio bisogna evitare le parole vane: le parole giuste sono quelle del cuore e della vita; le parole vane sono quelle delle mode culturali e dei luoghi comuni”. Oggi infatti “c’è un certo consumo di parole, quali grazia, salvezza, amore, pace, democrazia, diritti umani”. Per mons. Sanna, “queste parole sono diventate come delle monete svalutate, con le quali non si compra niente e non si parla a nessuna coscienza”.
“Alla mancanza di testimoni e di maestri ed al valore della persona che annuncia non si può supplire con i persuasori mediatici ed i venditori delle opinioni”, ha ricordato il catechista evidenziando invece che “la parola suprema, che supera tutti gli ostacoli della comunicazione, è un gesto di amore, per quanto l’amore non si esaurisca nella sola parola, ma si allarghi ad una vastissima gestualità simbolica ed affettiva”.
“L’amore – ha osservato il Vescovo – non è fatto solamente di parole, bensì di gesti concreti di generosità, di altruismo, di dedizione disinteressata all’altro. Si può non parlare, e, tuttavia, amare; si può non amare, e, tuttavia, parlare; si possono dire molte parole ipocrite, per nascondere il vuoto dei sentimenti e la mancanza di comunione; si possono dire poche parole sincere per comunicare la profondità dei sentimenti e la gioia della comunione”. Del resto, “il più grande gesto dell’amore di Dio non è una parola, ma un fatto” perché “Dio Padre non si è limitato a parlare di suo Figlio, a proclamarlo ‘suo Figlio prediletto nel quale si è compiaciuto’, ma lo ha consegnato all’umanità con un gesto di amore supremo”.