Siamo grati al Signore che, mediante la volontà dei Sommi Pontefici Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, ha permesso alla CEI di potersi a lungo avvalere della Sua guida, Eminenza: una guida illuminata, sicura, appassionata e generosa, per sedici anni come Presidente e, prima, per cinque anni come Segretario Generale.
Non sono stati, questi, anni facili per la Chiesa in Italia e per la società italiana, ma, grazie alla Sua azione, abbiamo potuto affrontarli con coraggio, senza perdere l’orientamento evangelico, aprendo altresì orizzonti nuovi per la pur ricca storia del nostro cattolicesimo. Possiamo oggi con orgoglio misurare una maggiore unità dell’episcopato e dei cattolici nel nostro Paese, pur in mezzo a non poche prove. Senza scivolare, come si vorrebbe far credere da parte di qualche non amichevole osservatore, nella uniformità, siamo cresciuti invece nell’unità, nel pieno rispetto delle diverse identità, in un consenso sempre ricercato e mai imposto. In questa ricerca di cammini condivisi si è pure maturata, grazie alla Sua saggezza, la trasformazione della CEI del dopo Accordi concordatari, che hanno conferito a questo organismo collegiale ulteriori compiti e responsabilità al servizio di ciascuna delle diocesi italiane e del mondo cattolico tutto.
Le siamo grati, Eminenza, per le prospettive teologiche e umane con cui ha svolto il Suo servizio tra noi. Ogni Suo intervento ci ha sempre rinviato a fondamenti cristologici ed ecclesiologici non fragili e ha impresso spinte di novità alla vita pastorale e sociale, saldamente ancorate alla centralità della persona e al ruolo della cultura. Ne è testimonianza il “progetto culturale”, da Lei voluto e costantemente alimentato con un pensiero forte, non a caso incentrato attorno alla questione antropologica.
Se alle cronache giornalistiche e agli osservatori superficiali è parso emergere nella Sua azione l’impatto con l’ambito politico, chi come noi ha lavorato con Lei non può dimenticare che tutto si è collocato all’interno di una progettualità pastorale fortemente propositiva, come attestano gli interventi, per limitarci a quest’ultimo decennio, a riguardo della comunicazione della fede, della iniziazione cristiana, della missionarietà della parrocchia. Questo sì, però: Lei ci ha insegnato che nessuna azione pastorale è degna della Chiesa se essa si chiude in se stessa, se diventa incapace di interloquire con tutto ciò che muove la cultura e la vita sociale di un popolo. Responsabili della Chiesa sì, ma al tempo stesso responsabili per il mondo.
Che tutto questo non sia stata solo arida dottrina, ma una figura di esistenza cristiana e pastorale, lo può testimoniare ciascuno di noi, io ovviamente per primo. Ciascuno di noi in questi anni si è infatti sentito sostenuto da gesti e sentimenti di amicizia e di ricco rapporto umano.
E siccome gli amici si misurano nelle prove, ciascuno di noi può dire che nessun momento difficile della nostra vita e delle nostre famiglie è passato senza la Sua telefonata premurosa o il Suo biglietto che esprimeva concreta vicinanza. Questa ricchezza di rapporti, che purtroppo sfugge a chi ci guarda dall’esterno, è il segno e dà il senso di un ministero, il Suo, che è stato sempre vissuto in rapporto alla persona umana e alla sua crescita.
Non possiamo nasconderLe, Eminenza, che Lei ci mancherà, anche se siamo già pronti a collaborare con la medesima dedizione e lealtà con il Suo successore, che domani accoglieremo tra noi e al quale fin da oggi facciamo giungere un caloroso benvenuto e un fervido augurio.
Siamo confortati dalla certezza che Lei ci resterà spiritualmente vicino, continuerà a dare il Suo contributo alla vita della CEI nel Consiglio Permanente. Lei sappia che sarà sempre circondato dal nostro affetto.
Roma, 7 marzo 2007
+ GIUSEPPE BETORI