Venerati e cari Confratelli, siamo lieti di ritrovarci qui a Pisa, all´inizio del nuovo anno pastorale, invitati del nostro Vicepresidente Mons. Alessandro Plotti, che salutiamo con animo grato, e gentilmente ospitati in questa antica e accogliente casa di Santa Croce in Fossabanda, dove potremo trascorrere alcune giornate di vita comune, sempre utili a vivificare e rafforzare i reciproci legami di comunione e di amicizia. Il Signore, presente in mezzo a noi e centro vivo della nostra unità, illumini e guidi con il suo Santo Spirito la nostra preghiera e i nostri lavori, per il bene della Chiesa in Italia e della nostra nazione.
1. Il conforto della preghiera e della comunione fraterna ci sono particolarmente necessari nella nuova situazione, creatasi nel mondo intero a seguito dell´attacco inaudito e totalmente inatteso a cui sono stati sottoposti, martedì 11 settembre, gli Stati Uniti d´America. Il primo sentimento che è nato nei nostri cuori, di fronte alle terribili immagini degli attentati, alle notizie sullo spaventoso numero delle vittime e alla percezione del dolore di tante famiglie e di un popolo intero, è quello della pietà cristiana. E la prima risposta è stata e rimane quella della preghiera. Anzitutto attraverso la pietà e la preghiera trovano espressione la solidarietà e la vicinanza profonda che sentiamo, più forti che mai, verso la nazione americana: per la comune appartenenza alla famiglia umana, in primo luogo; per il radicarsi in una medesima civiltà che ha le sue principali matrici nella fede cristiana; per il grandissimo debito di gratitudine che l´Italia, come l´intera Europa, ha contratto verso gli Stati Uniti lungo l´arco della storia del XX secolo. La solidarietà e l´amicizia vera si manifestano soprattutto nei giorni della sventura e della prova: ci conforta pertanto la rapidità e la concordia con cui il nostro popolo e i suoi rappresentanti si sono posti al fianco degli Stati Uniti, al di là delle differenze di orientamento politico e culturale. Non possiamo tacere, poi, l´indignata condanna verso coloro che, come ha detto il Santo Padre, si sono resi responsabili di un così “terribile affronto alla dignità dell´uomo”: questa condanna riguarda gli autori e i mandanti delle stragi come anche coloro che li avessero scientemente appoggiati o coperti. E´ stato da più parti motivatamente osservato che quanto è accaduto l´11 settembre cambia in profondità la situazione mondiale. Resta aperto però l´interrogativo cruciale sul senso e sulla direzione che assumerà un tale cambiamento. Ciò riguarda in termini più immediati la risposta da dare all´attacco subito dagli Stati Uniti: è fuori dubbio il diritto, anzi la necessità e il dovere, di combattere e neutralizzare, per quanto possibile, il terrorismo internazionale e coloro che, a qualunque livello, se ne facciano promotori o difensori. E´ però altrettanto importante e indispensabile che questo diritto-dovere sia esercitato non solo attraverso il ricorso alla forza delle armi – da mantenersi sempre il più possibile limitato, senza rappresaglie indiscriminate -, ma anche e principalmente adoperandosi per rimuovere le motivazioni e i focolai che alimentano il terrorismo o possono dargli luogo. In tutto ciò sono grandi il ruolo e le responsabilità che possono essere assunte dalle nazioni, tra cui l´Italia, più vicine e solidali con gli Stati Uniti, e proprio per questo più qualificate a non lasciarli soli nel rispondere all´attuale gravissima sfida. Il principale nodo da sciogliere rimane, a questo proposito, quello della Terra Santa e del conflitto arabo-israeliano, che si trascina ormai da oltre cinquant´anni, pur con fasi più o meno acute: dovrebbe essere ormai chiaro a tutte le parti in causa che questo conflitto non può trovare soluzione se non attraverso un negoziato che tenga conto dei diritti e delle esigenze di ciascuno e cerchi di contemperarli nel modo il più possibile equo, come anche che il continuo ricorso ad atti di terrorismo o di guerra non fa altro che aggravare, per tutti, la situazione. Più ampiamente, nel combattere il terrorismo e le sue matrici bisogna guardarsi da semplificazioni e generalizzazioni che sarebbero gravide di conseguenze funeste, a un livello durevole e globale. In particolare la denuncia e il contrasto del fondamentalismo violento presente tra alcune popolazioni islamiche non può condurre ad ingiuste identificazioni o confusioni tra ideologia della violenza e della guerra e religione musulmana, e nemmeno all´abbandono del dialogo e della ricerca della reciproca comprensione, anzi di una sincera collaborazione: come ha detto il Papa all´Angelus di ieri ad Astana, “la religione non deve mai essere usata come una ragione di conflitto”. Il fanatismo e l´odio hanno del resto radici per lo più diverse da quelle religiose e non dobbiamo ignorare che essi possono manifestarsi anche tra popolazioni cristiane, come oggi sta purtroppo avvenendo nell´Irlanda del Nord. Allo stesso modo, e su un versante solo apparentemente opposto, occorre smascherare e superare – anzitutto a livello etico e culturale – quello pseudo-moralismo, presente purtroppo anche nei nostri Paesi e perfino tra i cristiani, che tende a vedere negli Stati Uniti la causa e la sintesi dei mali del mondo, ravvisando in essi la massima espressione di una civiltà e di uno sviluppo che sarebbero intrinsecamente e irrimediabilmente mendaci e malvagi. Non è questa la via per comprendere la realtà nella quale viviamo e non è questo l´atteggiamento che può aiutare a costruire tra i popoli la conoscenza reciproca, l´accoglienza e la pace. Nei cambiamenti derivanti dalla tragica giornata dell´11 settembre, ciò che può toccare più in profondità la vita della nazione americana, ma anche di tutti i popoli dell´Occidente, è d´altronde una nuova definizione delle priorità della vita sociale, dei valori e dei comportamenti sia collettivi sia anche personali. Gli aspetti più banali e inautentici della nostra cultura e dei nostri stili di vita, di fronte alla gravità, alle dimensioni e alle implicazioni di ciò che è accaduto, sono stati per così dire messi a nudo nella loro inconsistenza e mancanza di significato, mentre hanno ricevuto un forte impulso a riemergere quei contenuti di solidarietà e di generosità, di coraggio, di senso di una comune appartenenza e di un comune destino, di serietà della morte e della vita, sui quali si può costruire non una impossibile “sicurezza” terrena, ma una migliore capacità di affrontare le sfide della vita e di costruire il proprio futuro: ciò riguarda tutte le dimensioni dell´esistenza, da quelle economiche a quelle affettive a quelle religiose e spirituali, e, se coinvolge e mobilita in primo luogo il popolo americano, può essere l´occasione di un esame di coscienza e di una rinnovata assunzione di responsabilità anche nel nostro Paese. Se sarà così, la provvidenza misericordiosa di Dio avrà ricavato un bene anche da questo enorme male e questo nostro mondo, sempre più piccolo e interdipendente nonostante le sue atroci divisioni, potrà forse intravedere una prospettiva di pace poggiata su più solidi fondamenti morali.
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