Venerati e cari Confratelli,
siamo riuniti in assemblea plenaria, cioè nella formula più ampia e più impegnativa, non solo perché a questo adempimento ci induce lo Statuto della Conferenza, ma perché sentiamo il bisogno di ascoltare insieme il cuore dell’uomo, del cittadino nostro conterraneo, nella convinzione che in esso c’è l’eco di Dio. Nella preghiera cercheremo di coltivare quello sguardo contemplativo che è aperto sugli orizzonti più ampi ed è capace ad un tempo di focalizzare gli elementi di rilievo.
Innanzi a tutto il nostro pensiero va a quella parte del Nord Italia maggiormente interessata al sisma che è avvenuto quasi all’alba di ieri, domenica. Ancora una volta, scosse tremende hanno profondamente ferito il nostro bel territorio, dal modenese al ferrarese, con epicentro a Finale Emilia, modificando la fisionomia dei paesi interessati e soprattutto causando sette vittime, e oltre cinquanta feriti. Distruzione e danni ingenti, panico e terrore, dolore e morte per una calamità, sempre possibile, ma che – ci verrebbe da dire – troppo spesso ci visita e ci fa toccare tragicamente la fragilità dell’esistenza umana. Siamo vicinissimi a quelle comunità. Ci stringiamo ad esse, preghiamo per i morti e i feriti, siamo solidali ai loro parenti, e ci impegniamo a fare per intero la nostra parte affinché la vita normale possa riprendere al più presto.
Ma anche la condizione complessiva del nostro popolo ci angustia, non da oggi per la verità: anche per questo vorremmo essere in grado di intravvedere i primi bagliori di qualcosa di nuovo e che dovrà poi maturare attraverso un paziente, lungimirante servizio. Al cittadino nostro fratello, che simbolicamente si erge in mezzo a noi, come interlocutore amato e cercato, a lui che si sta misurando con una crisi assai più ampia di ogni previsione, vorremmo saper dire parole non scontate di incoraggiamento e di speranza, inquadrando i rischi nei quali stiamo incorrendo, ma anche i segnali positivi e le potenzialità che realisticamente sono alla nostra portata. La vita è un dono troppo grande per non applicarsi ad assaporarla sempre, anche nelle fasi più aspre, dalle quali tuttavia possono trapelare i sussurri del nuovo. Si coglie in giro una pensosità preoccupata che valutiamo non solo legittima, ma sacrosanta; essa tuttavia non deve farsi cupezza o oppressione paralizzante, perché questo sarebbe un cedimento sul fronte dell’amore che Dio ha per noi, che ci fa resistenti alla prova e capaci di futuro. Si scorgono segnali di un pronunciato risentimento, ostilità dichiarata e violenza sanguinaria, che dobbiamo respingere e combattere con ogni determinazione, affinché non ci chiudano gli spiragli a quel futuro che è diritto di ogni comunità. È, questo, un nostro dovere di Pastori, speriamo sapienti, ossia non impauriti né inerti di fronte ad un mondo sregolato e quanto mai scombinato. Sappiano i nostri concittadini che in questi giorni assembleari non ci staccheremo neppure per un attimo da loro, e nessuno dei nostri pensieri li vedrà estranei, mentre raccogliamo l’invito del Papa proprio agli italiani: «Reagiscano alla tentazione dello scoraggiamento e, forti anche della grande tradizione umanistica, riprendano con decisione la via del rinnovamento spirituale ed etico, che sola può condurre ad un autentico miglioramento della vita sociale e civile»
(Saluto al Regina caeli, Arezzo, 13 maggio 2012).