In occasione della discussione, alla Camera dei Deputati, per la fiducia al Governo, il 27 ottobre 1980, il Segretario del Partito Socialista Italiana, ha fatto dichiarazioni per le quali la Presidenza della C.E.I. ha sentito il dovere di pubblicare la seguente Nota.
Riteniamo utile prolungare la riflessione già avviata dalle reazioni della stampa alle dichiarazioni recenti del Segretario del PSI in Parlamento, per aiutare a meglio comprendere la posizione della Chiesa e dei cattolici sugli argomenti toccati.
È fuori dubbio, innanzi tutto, la libertà del Santo Padre nell'esercizio del suo dovere e diritto di intervenire a difesa della verità del Vangelo e della vita dell'uomo: di ogni uomo, di qualunque continente e a qualunque nazione appartenga. La missione affidata da Cristo alla Chiesa è cattolica, universale, senza discriminazioni di sorta o accezione di persona, e comporta il compito di parlare in ogni occasione (cfr. 2 Tm 4, 2).
«Guai a me se non predicassi il Vangelo» (1 Cor 9, 16).
Per questa sua destinazione, la Chiesa è stata costituita da Cristo – e il Concilio lo ha ricordato ampiamente – come comunione. Già San Paolo, del resto, e la costante tradizione successiva, lo avevano affermato (cfr. Ef 2, 19; Col 3, 11; LG, 13).
Nella Chiesa nessuno è ospite o straniero, ma tutti sono fratelli.
E a più forte ragione lo è Colui che è stato chiamato a diventare «il visibile principio e fondamento dell'unità sia dei Vescovi che dei fedeli» (LG, 23), e a confermare i fratelli nella fede. Stupisce in particolare, perciò, che non si conceda a un Papa capacità di comprendere la complessità dei problemi di un Paese, del Paese di cui è Vescovo e di cui è Primate.
Che pure i Vescovi, nella funzione del loro ministero di maestri della fede e testimoni autentici della dottrina cattolica, siano uniti col Papa nel proclamare i medesimi valori relativi alla grande verità cristiana sull'uomo (cfr. GS, 41), non deve per nulla meravigliare. Sarebbe scandalo il contrario. E va anche aggiunto che è competenza propria del Papa e dei Vescovi – qualunque sia il parere degli uomini della politica, della cultura e altri – pronunciarsi sulla conformità o meno delle leggi umane con il Vangelo, e richiamare le coscienze dei fedeli all'obbligo di «inscrivere la legge divina nella vita della città terrena» (GS, 43), nell'interesse stesso della società.
I membri delle comunità ecclesiali, per questo, hanno i diritti di tutti i cittadini, e possono, e debbono a volte, farne uso. La libertà è non solo un diritto ma un dovere. Fa veramente impressione che si torni ancora a porre in questione per alcuni cittadini, perché cristiani, la libertà di ricorrere a una legge dello Stato e ad un suo istituto, quale il referendum, quando a tale strumento sembrano poter adire tranquillamente cittadini dalle ideologie più diverse.
Auguriamo che i cristiani vigilino sempre con serenità e fermezza sui principi che fondano la loro testimonianza nel mondo, e sappiano conservarli ad ogni livello della vita privata e pubblica. Auspichiamo insieme che in tutti gli uomini di buona volontà prevalgano sempre – in tema di accoglienza alla vita fin dal suo concepimento – i sentimenti della vera umanità scritti nel cuore di ogni uomo.