Paolo VI, nell’enciclica Populorum progressio già quaranta anni fa, affermava: “Se la terra è fatta per fornire a ciascuno i mezzi della sua sussistenza e gli strumenti del suo progresso, ogni uomo ha dunque il diritto di trovarvi ciò che gli è necessario”(n. 22); tale diritto è inscindibilmente connesso con il dovere di contribuire al mantenimento delle risorse.
Nella nota pastorale Frutto della terra e del lavoro dell’uomo. Mondo rurale che cambia e Chiesa in Italia (19 marzo 2005) abbiamo evidenziato che “gli agricoltori appaiono oggi non solo produttori di beni materiali fondamentali, ma sempre più custodi di un territorio amato e servito, nel suo spessore culturale e, ovviamente, prima ancora nella sua identità fisica. Il territorio non può sopravvivere nelle sue funzioni di utilità all’uomo senza chi lo lavora. E una consapevolezza che fa vedere le cose non in termini di efficienza ma di efficacia e di interdipendenza” (n. 23). Siamo persuasi che questa visione del ruolo degli addetti all’agricoltura, varcando i confini nazionali, può offrire spazi nuovi alle vie dello sviluppo. Anche il Santo Padre, nell’Angelus del 27 agosto 2006, ha ricordato che “il creato, grande dono di Dio è esposto a seri rischi da scelte e stili di vita che possono degradarlo. Il degrado ambientale rende insostenibile particolarmente l’esistenza dei poveri della terra. Occorre impegnarsi ad avere cura del creato, senza dilapidarne le risorse e condividendole in maniera solidale”.
Quando l’uomo trasforma ciò che è un dono per tutti in un possesso di pochi, compie un furto, prima che contro gli altri uomini o popoli, contro il vero possessore della terra, che è il Signore stesso. Egli l’ha creata e assegnata all’uomo, a ogni uomo, di ogni tempo e di ogni luogo: “La creazione è un dono di Dio, un dono per tutti, e Dio vuole che tale rimanga” (Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, Per una migliore distribuzione della terra, n. 23).
La cura per l’ambiente naturale e l’impegno per un autentico sviluppo umano sono dunque strettamente legati. L’opera di custodia e perfezionamento del creato tende infatti a prefigurare quella pienezza di vita cui l’uomo è chiamato da Dio: una “umanità nuova” che ha come legge l’amore e come modello Cristo, primogenito di tutta la creazione. Il nesso inscindibile tra “ecologia ambientale” ed “ecologia umana”, come ha ricordato Benedetto XVI nel messaggio per la Giornata mondiale della pace 2007, mette in luce come una visione riduttiva dell’uomo finisca per produrre conseguenze negative anche per la stessa difesa del mondo naturale. Salvaguardare l’integrità della persona umana, nel suo legame con Dio e con il creato, significa rifiutare ogni concetto disumano di sviluppo e accostare il territorio nella complessità dei fattori che lo determinano.
Risulta chiaro che la risoluzione della crisi ecologica, il dare nuovo impulso allo sviluppo dei popoli e quindi futuro al pianeta, sono affidati, prima che a leggi e ad accordi internazionali, per quanto saggi e lungimiranti, a una trasformazione delle coscienze illuminate da precisi principi morali, premessa per l’elaborazione di regole, leggi e accordi. Se davvero la crisi ecologica è legata a una mentalità errata, a stili di vita sbagliati, dobbiamo sviluppare una nuova mentalità, un modo nuovo di relazionarci con l’ambiente.
Occorre il coraggio di promuovere stili di vita, modelli di produzione e consumo improntati al rispetto del creato e alle reali esigenze di progresso sostenibile, di riscoprire la sobrietà, che estirpi dal cuore dell’uomo la brama di possedere e restituisca il primato all’essere, che conduca l’uomo a usare della terra senza abusarne, che ci insegni a evitare l’inutile, il superfluo, l’effimero, che purifichi lo sguardo e faccia scoprire che l’ambiente non è una preda da saccheggiare, ma un giardino da custodire.
“Nel rapporto tra l’Eucaristia e il cosmo”, ricorda papa Benedetto XVI nell’esortazione apostolica Sacramentum caritatis, “scopriamo l’unità del disegno di Dio e siamo portati a cogliere la profonda relazione tra la creazione e la ‘nuova creazione’, inaugurata nella risurrezione di Cristo, nuovo Adamo. Ad essa noi partecipiamo già ora in forza del Battesimo (cfr Col 2,12s) e così alla nostra vita cristiana, nutrita dall’Eucaristia, si apre la prospettiva del mondo nuovo, del nuovo cielo e della nuova terra, dove la nuova Gerusalemme scende dal cielo, da Dio, ‘pronta come una sposa adorna per il suo sposo’ (Ap 21,2)” (n. 92).
Nella responsabilità che deve accompagnare la nostra attività, con speranza e profonda riconoscenza, possiamo continuare il nostro cammino contemplando fin d’ora la nuova creazione, i cieli nuovi e la terra nuova, accompagnati dalle parole profetiche dell’Apocalisse:
“Non avranno più fame,
né avranno più sete,
né li colpirà il sole,
né arsura di sorta,
perché l’Agnello che sta in mezzo al trono
sarà il loro pastore
e li guiderà alle fonti delle acque della vita.
E Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi” (Ap 7,16–17).