1. – La Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana – riunita a Roma il 22 e 25 c.m. – rivolge il pensiero fraterno ai Confratelli nell´Episcopato, ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, alle famiglie, a tutte le comunità cristiane.
Con pari sentimenti estende il saluto all´intero Paese, di cui conosce la crisi persistente e le sofferte aspirazioni per un diverso genere di vita.
La situazione è sotto gli occhi di tutti, e non saremo noi Vescovi a coltivare stati d´animo o prospettive fallimentari. Riteniamo anzi che esistano sempre forti risorse morali tra la gente e buone competenze da mettere in atto con fiducia a tutti i livelli; senza deleghe a nessuno, con coraggiosa volontà di lavorare insieme per il bene comune.
Su alcuni aspetti degli impegni comuni, richiamiamo tuttavia l´attenzione perché in questo momento è richiesta più che mai la collaborazione di tutti.
2. – Se la crisi economica si è aggravata, non è per fatalità. Ha tra l´altro radici in un diffuso e ostinato comportamento di spensieratezza, di consumo e di spreco che, oltre ad essere immorale, riversa gravi pesi sui più poveri, continua a costruire idoli e a provocare illusioni e alienazione soprattutto tra i più giovani.
D´altra parte, i sistemi dell´economia moderna, se pure si possono chiamare «sistemi», continuano a muoversi con gravi contraddizioni, sovrapponendosi a volte con brutalità ai valori umani fondamentali. Si avverte per questo l´esigenza di una più sicura inversione di rotta anche nelle strutture pubbliche, perché, superando la disaffezione alla vita civica, sociale e politica, insieme si possa lavorare per il futuro.
3. – Segno qualificante di ripresa sarà, proprio in questi mesi, l´attenzione decisa al grave problema della occupazione, che oggi rischia di assumere dimensioni tali da costituire una vera calamità sociale (cfr. «Laborem exercens», n. 18). Il lavoro è un dovere e un diritto che i sistemi o i programmi economici devono considerare prioritariamente e assicurare sempre e comunque. Questa è rispetto dell´uomo, della famiglia, dei giovani, dei rapporti sociali; questo è garanzia indispensabile di libertà, di responsabile convivenza civile e di sicuro progresso umano.
4. – Preme comunque a noi, in questa circostanza, ribadire che la prevedibile fatica per uscire dalla crisi richiede a tutti forte vigore morale. Non solo per i cristiani, ma per tutti vale la legge del primato dello spirito.
In questi giorni la Chiesa inizia un nuovo anno liturgico, con la celebrazione dell´Avvento.
Farà cioè memoria viva dell´amore infinito di Dio per gli uomini e della pace che a loro Egli ha donato con l´incarnazione del Figlio Suo Gesù Cristo.
Più ancora, farà una sempre nuova esperienza della presenza del Signore risorto, che ogni giorno viene, parla, giudica, sostiene e chiama a gettare la vita con lui, perché gli uomini non abbiano più paura di Dio, lo riconoscano lietamente come Padre, vivano da fratelli, e come fratelli guardino al loro futuro.
5. – Anche l’Avvento, come ogni altro dono che viene da Dio, non è patrimonio che la Chiesa può custodire solo per sé. È grazia per tutti.
La predicazione dei profeti che contestano una società dimentica di Dio, la voce del Battista che grida nel deserto chiamando a conversione, l´annuncio lieto degli evangelisti, le catechesi forti di Paolo, l´esperienza singolare di Maria che concepisce in sé il figlio di Dio e lo fa nascere per gli uomini, saranno i riferimenti portanti dell´itinerario dei cristiani verso il Natale.
Ma in tutti il Natale risveglia il senso pieno della dignità dell’uomo, della sua fragilità, del rispetto dovuto ai suoi diritti, alla sua fatica, al suo destino.
Per tutti ripropone l´impegno della conversione morale, della condivisione, della solidarietà.
A tutti chiede se c´è posto per Cristo. Molti sono i segni della sua venuta. Tra di essi, provocante per tutti, è il segno dei poveri e degli ultimi: «In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli l´avete fatto a me» (Mt 25,40).
6. – La nostra società, affascinata da ingannevoli promesse, sempre tentata di soccombere sotto il peso delle sue delusioni, tuttora esposta ai gravi fenomeni che corrodono la convivenza civile – quali la sottrazione di capitali necessari al bene comune, o quali le violenze del terrorismo o di stampo mafioso – non deve soccombere sotto il peso delle sue difficoltà. Noi auguriamo che essa sappia per questo aprirsi coraggiosamente a Cristo, che si incarna nella debolezza e per i peccati degli uomini e libera le loro autentiche risorse.
Alle famiglie, alla scuola, agli ambienti del lavoro e della comunicazione sociale, agli ospedali, ai paesi e alle città, noi chiediamo di fare posto a Cristo, perché non si consumi anche oggi il dramma della città che non lo accolse nel corso della sua vita terrena.
In tal senso noi cristiani opereremo con amore, fin d´ora impegnati a vivere l´Anno Santo della Redenzione annunciato dal Santo Padre, ben consapevoli che «Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori» (Sal 126, 1).
Roma, 27 novembre 1982