All’Angelus del 6 settembre scorso, il Santo Padre “di fronte alla tragedia di decine di migliaia di profughi che fuggono dalla morte per la guerra e per la fame, e sono in cammino verso una speranza di vita” ci invitava ad essere loro prossimi e “a dare loro una speranza concreta”. Da qui, alla vigilia del Giubileo della Misericordia, l’accorato appello di Papa Francesco “alle parrocchie, alle comunità religiose, ai monasteri e ai santuari di tutta Europa ad esprimere la concretezza del Vangelo e accogliere una famiglia di profughi”.
L’appello del Papa ha trovato già le nostre Chiese in prima fila nel servizio, nella tutela, nell’accompagnamento dei richiedenti asilo e dei rifugiati. Infatti, su circa 95.000 persone migranti – ospitate nei diversi Centri di accoglienza ordinari (CARA) e straordinari (CAS), nonché nel Sistema nazionale di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) – diocesi e parrocchie, famiglie e comunità religiose, accolgono in circa 1600 strutture oltre 22.000 dei migranti.
Consapevole dell’importanza di allargare la rete dell’accoglienza, quale segno di una Chiesa che – come ricorda il Concilio Vaticano II – “cammina con le persone” (G.S. n.40), la Conferenza Episcopale Italiana, ha subito accolto con gratitudine l’appello del Papa, rinnovando la disponibilità a curare le ferite di chi è in fuga con la solidarietà e l’attenzione, riscoprendo la forza liberante delle opere di misericordia corporale e spirituale. Il Sinodo dei Vescovi sulla famiglia sollecita anche a un impegno rinnovato, consapevoli che “le famiglie dei migranti (…) devono poter trovare, dappertutto, nella Chiesa la loro patria. È questo un compito connaturale alla Chiesa, essendo segno di unità nella diversità” (Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n.77).
Per accompagnare le diocesi e le parrocchie in questo cammino con i richiedenti asilo e rifugiati, si è pensato a una sorta di vademecum, che possa aiutare a individuare forme e modalità per ampliare la rete ecclesiale dell’accoglienza a favore delle persone richiedenti asilo e rifugiate che giungono nel nostro Paese, nel rispetto della legislazione presente e in collaborazione con le Istituzioni. Si tratta di un gesto concreto e gratuito, un servizio, segno di accoglienza che si affianca ai molti altri a favore dei poveri (disoccupati, famiglie in difficoltà, anziani soli, minori non accompagnati, diversamente abili, vittime di tratta, senza dimora…) presenti nelle nostre Chiese: un supplemento di umanità, anche per vincere la paura e i pregiudizi. Come si legge nei nostri Orientamenti pastorali decennali Educare alla vita buona del Vangelo, “l’opera educativa deve tener conto di questa situazione e aiutare a superare paure, pregiudizi e diffidenze, promuovendo la mutua conoscenza, il dialogo e la collaborazione” (CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, n. 14). …