“Benedite opere tutte del Signore, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli” (Dan 3,57).
Facciamo nostre le espressioni di lode e benedizione del libro di Daniele, mentre ci rivolgiamo a Dio a conclusione di un anno di lavoro e di raccolti. Esse sollevano il nostro sguardo e ci aiutano a riconoscere quanto la Provvidenza del Padre anche quest’anno ci abbia fedelmente sostenuto e ci abbia offerto la possibilità di collaborare all’opera della creazione. Grazie al frutto della terra, donata da Dio, e del nostro lavoro abbiamo il sostentamento per noi e i nostri cari. La lode a Dio purifica anche il nostro cuore e ci invita ad esaminarci sull’uso che abbiamo fatto dei frutti della terra e del nostro lavoro. Quanto li abbiamo rispettati senza sprecarli, quanto li abbiamo usati secondo giustizia e solidarietà senza accumularli con criteri egoistici privando i fratelli più poveri. Tra i doni della Provvidenza, essenziali alla vita, c’è certamente il dono dell’acqua.
Il dono dell’acqua
L’anno internazionale dell’acqua ci invita a quell’attenzione che già in Francesco d’Assisi si volgeva a “sora acqua”, per cantarne l’umiltà e la preziosità nella lode al creatore. Una cascata che sgorga con forza; l’oceano nella sua maestosa immensità o nella furia della tempesta; un fiume che irriga una valle rendendola verdeggiante: tutti segni della potenza benedicente di Dio e del suo amore per la vita umana e non solo. La Scrittura narra dell’acqua presente in abbondanza nel giardino di Eden, ad indicare la bontà di una terra custodita con amore dagli esseri umani (Gen.2). Geremia invita a temere “il Signore nostro Dio, colui elargisce la pioggia d’autunno e quella di primavera a suo tempo”, che “ha fissato le settimane per la messe e ce le mantiene costanti” (Ger.5,24) I Salmi e la tradizione evangelica (Sl.104, 10–13; Mt.5,45) vedono nella pioggia – che cade sui giusti e sugli ingiusti, sugli uomini e sulle bestie, sugli animali domestici, su quelli selvatici e persino su quelli feroci, pericolosi per l’uomo – un grande segno dell’amore universale di Dio. Nel battesimo l’umile acqua compare come segno e strumento dell’autocomunicazione efficace di Dio ai suoi fedeli, come un dono di vita dalle molte dimensioni. Dovremmo valorizzare anche nelle celebrazioni liturgiche il legame del sacramento al mondo creato, che proprio nell’acqua battesimale è particolarmente evidente. E importante riscoprire sempre e di nuovo l’acqua come dono buono di Dio, anche per affrontare le gravi questioni socio–economiche ad essa collegate.
Nella crisi idrica
L’attualità, infatti, è cruda: l’estate 2003 ha fatto assaggiare anche al nostro paese il significato di quella crisi idrica che in molte aree è già da tempo realtà quotidiana: quasi un miliardo e mezzo di persone non ha accesso all’acqua in quantità adeguata; più di due miliardi non dispongono di servizi sanitari adeguati e la mancanza di acqua igienicamente affidabile ha determinato più di due milioni di morti per dissenteria nel solo 2000. Sono cifre destinate a crescere nei prossimi decenni; anche a causa dei processi di desertificazione in atto e del mutamento climatico legato all’effetto serra. Si tratta di minacce alla vita, capaci di determinare migrazioni ambientali – veri esodi di popolazioni private di ogni spazio abitabile. Ma fondamentale è il ruolo dell’acqua anche per l’agricoltura e per l’approvvigionamento alimentare: già adesso in numerose località l’abbassamento delle falde rende difficile l’irrigazione, creando seri problemi per la produzione di cibo.
L’acqua come diritto
Il Pontificio Consiglio Iustitia et Pax in occasione del Vertice ONU di Johannesburg 2002 ha indicato l’accesso all’acqua come priorità centrale: “L’acqua è una necessità fondamentale per la vita. Occorre assicurare a ciascuno l’adeguata fornitura di acqua di buona qualità. Troppe persone non hanno accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici (…). Un maggiore accesso all’acqua assicurerà più cibo, meno fame, più salute e un generale incremento dello sviluppo sostenibile”. Il tema dell’universale destinazione dei beni della terra di Gaudium et Spes, è qui riferito all’acqua – realtà unica e preziosa, dotata di proprietà fisico–chimiche che la rendono essenziale alla vita. Per i viventi la sopravvivenza in condizioni di scarsità d’acqua è precaria ed oltre un certo limite impossibile; agli esseri umani è pure necessaria una quota di acqua potabile o potabilizzata. Occorre, allora, riconoscere un vero e proprio diritto all’accesso all’acqua di tutti gli esseri umani. Esso limita il controllo degli Stati sull’acqua del proprio territorio, ma impedisce pure di fare dell’acqua un mero bene economico di mercato.
L’acqua come bene comune
La realizzazione di un diritto, infatti, non può essere affidata al solo mercato, che farebbe dipendere dal reddito la possibilità d’uso di un bene essenziale alla vita. L’acqua non può mai essere solo bene privato, ma va custodita come bene comune ed, anzi, come patrimonio dell’umanità. L’attenzione alla dimensione pubblica del bene–acqua caratterizzava anche l’intervento del Pontificio Consiglio Justitia et Pax in preparazione al Vertice sull’Acqua di Kyoto del marzo 2003: lo Stato ha da essere “amministratore responsabile delle risorse delle persone, che deve gestire in vista del bene comune” e le privatizzazioni devono avvenire “all’interno di un chiaro quadro legislativo, che permette ai governi di assicurare che l’intervento privato protegga in effetti l’interesse pubblico”. La distribuzione idrica, insomma, non potrà essere regolata solo dall’efficienza ma soprattutto da una solidarietà efficiente, capace di futuro ed ambientalmente consapevole. L’appello a questa solidarietà può essere recepito da un’agricoltura troppo intensiva nei suoi prelievi idrici, come pure un’industria che usa acqua senza farsi carico della depurazione creando inquinamenti che rovinano vasti territori. Un esame di coscienza va fatto anche sul consumo privato che spesso è troppo disinvolto. Probabilmente ci condiziona l’impressione che l’acqua sia un bene infinito e, per questo, si può impunemente sprecare nelle nostre case. Non è così. L’acqua è un bene comune limitato che chiede, di conseguenza, di essere usato e condiviso con sobrietà e onesta solidarietà. A questo senso di responsabilità vanno educate le giovani generazioni in vista di un futuro che sarà ancora più impegnativo nell’uso di questo dono di Dio essenziale ad ogni forma di vita.
Invocare il dono dell’acqua
I disagi provati per la siccità dell’estate, appena trascorsa, ci hanno fatto toccare con mano la nostra impotenza e i limiti del progresso tecnologico, pur così sorprendente. La pioggia ci giunge solo dal cielo. Per questo i discepoli di Gesù la invocano dalla Provvidenza del Padre Buono, come invocano “dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Innalzano la loro supplica battendosi il petto e confessando che non hanno saputo custodire con rispetto il dono provvidenziale dell’acqua e l’hanno reso motivo di ingiustizie verso i più poveri. E promettono di imitare il Padre che “fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” (Mt 5,45), condividendo con animo fraterno l’acqua che è giunta loro come dono, senza alcun merito.
Conclusione
“Benedite opere tutte del Signore, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli” e “Laudato sie, mi Signore, cun tutte le tue creature”. Questi grandi inni di lode diventino la nostra preghiera a conclusione dell’anno agricolo. Aprano gli occhi del nostro cuore per contemplare con filiale meraviglia le opere della Provvidenza di Dio nostro Padre. Risveglino le nostre coscienze a sentimenti di giustizia e di fraterna compassione e solidarietà con tutti gli uomini.
Roma, 4 ottobre 2003