Testimoni senza ‘se’ e senza ‘ma’. E’ stato un monito forte quello che il card. Angelo Bagnasco ha rivolto oggi ai giovani nel corso dell’ultima giornata di catechesi alla Gmg di Sydney, incentrata sul tema “Inviati nel mondo: lo Spirito Santo protagonista della missione”.
Testimoni così convinti da avere “l’ingenua libertà di gridare ‘il re è nudo’,smascherando così “il vuoto dei miti dominanti, delle mode, dei luoghi comuni,che troppo spesso invadono i media e che condizionano i modi di pensare e di vivere; che creano aspirazioni e illusioni nei giovani, e che causano delusioni a volte drammatiche”. “Il vuoto – ha sottolineato il cardinale – occupa troppo spazio nell’anima e nella mente.
Sapendo di essere tutti esposti a questa aria sottile ma pesante, dobbiamo con la testimonianza della nostra vita e poi con la dolcezza della parola indicare il vuoto che crea fantasmi, preoccupazioni, immagini di facile successo; che coltiva la vanità della vita”. “La missione – ha puntualizzato il card. Bagnasco – non è frutto di metodi particolari o strategie sofisticate, ma dello Spirito Santo alla cui azione dobbiamo essere docili”. Solo se si è rinnovati interiormente dallo Spirito Santo, ha spiegato il cardinale, si ottiene “l’audacia” nell’annunciare al punto di dire “io non posso tacere. Non si può tacere la gioia, non si può trattenere la speranza. Dobbiamo smettere di pensare che l’annuncio di Cristo è compito degli addetti ai lavori: siamo tutti ingaggiati dall’unico Signore, ci ha chiamati sulla stessa barca, la Chiesa”. “Siamo invitati ad annunciare Cristo ovunque, a non selezionare né persone né ambienti di vita perché tutto è campo di Dio – ha ribadito il presidente della Cei – la missione è un tempo quotidiano, ogni giorno è missionario, in famiglia, a scuola, all’università, al lavoro, nel tempo libero… Le persone passano accanto a te forse con un desiderio non detto, in attesa che qualcosa di nuovo accada nel senso di un bagliore che illumini il grigio”.
Missionari ma con l’umiltà del coraggio: “senza umiltà non c’è il coraggio della missione. Si tratta dell’umiltà di accettare il sorriso ironico o di sufficienza dell’altro, di incassare il suo rifiuto, di ascoltare la scusa banale, di essere giudicati retrogradi o illusi”. Per poter rispondere “a chi ci interroga e per crescere noi stessi”, ha concluso, “è necessario imparare le ragioni della propria fede, con semplicità e serietà, si tratta di pensare di più senza diventare complicati. Gli altri hanno diritto a delle risposte sensate e ragionevoli”.