Per dare concretezza alle sue parole, il Vescovo parla di sé. “Nella mia esperienza di sacerdote ho sperimentato come la liturgia sia il momento più alto dell’essere radicato in Cristo”, ha raccontato sottolineando che “in modo tutto particolare la celebrazione eucaristica è una costante presa di coscienza di questo ‘essere radicato’ e del divenire sempre più unito a Cristo, con tutte le conseguenze per la vita spirituale: dalla gratitudine per il dono straordinario, alla grande responsabilità perché parole pronunciate e gesti compiuti non diventino motivo di condanna, ma atto di fede e sprone di conversione”.
Il Catechista torna indietro con la memoria e aggiunge: “Ricordo quando nei primi mesi che celebravo la santa Messa, un giorno preparando l’offertorio, mi sono come bloccato nel dire: l’acqua unita al vino sia segno della nostra unione con la vita di Colui che ha voluto assumere la nostra natura umana”. Si tratta, ha spiegato, di “un gesto semplice, rituale” che però offre una “lezione e ammonizione continua del legame con Cristo”.
“Il vivere per Cristo, con Cristo e in Cristo è il dono più grande che abbiamo ricevuto con il battesimo ed è reso ancora più coinvolgente nella celebrazione eucaristica e nella comunione”, ha affermato il Vescovo. D’altra parte Gesù “non si è limitato ad essere buon amico dei discepoli, insegnando loro con parabole e manifestando la sua capacità taumaturgica: li aveva chiamati perché stessero con Lui, condividessero tutta la sua vita e diventassero suoi apostoli”. E a questo è chiamato ciascuno: “Mentre le radici della fede attingono linfa viva alla sorgente della grazia e, mentre il nostro essere si radica in Cristo, la nostra vita – ha concluso – si edifica su fondamenta solidissime, e diventiamo capaci di accettare il paradosso della croce illuminato dalla speranza certa della Risurrezione di Cristo”.