“La scelta del tema: Irc e famiglia: impegno e responsabilità di una scelta, dice la volontà di esplorare con intelligenza e passione il rapporto di continuità che salda l’azione educativa della scuola e della famiglia – ha spiegato don Vincenzo Annicchiarico, Responsabile del Servizio Nazionale per l’Irc -; dice, nel contempo, la necessità di individuare lo specifico apporto che l’Irc può offrire al raggiungimento pieno dell’obiettivo che scuola e famiglia pongono alla base della loro azione”.
“Le competenze religiose, che l’alunno raggiunge nell’Irc – ha aggiunto – favoriscono la sua maturazione umana e spirituale, lo educano ad una responsabile gestione della propria libertà di fronte ai valori e ai significati dell’esistenza, lo rendono capace di aprirsi in modo maturo alla comprensione della religione che innerva il tessuto sociale e culturale in cui vive. Evidentemente, si tratta di maturità umana di fronte alla religione e al cristianesimo e non di maturità cristiana di cui si parla nella catechesi. L’umanizzazione dell’alunno richiede che egli non venga a trovarsi acriticamente di fronte a un ambito così rilevante della cultura e della vita, quale è la religione, in particolare la religione cristiana, molto affermata e diffusa in Occidente”.
“Questo il punto – gli ha fatto eco don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio Nazionale per la pastorale della famiglia –: la scuola, che siamo chiamati a costruire, può essere vista come un ambiente in cui cresce il dono di sé, quindi non tanto come occasione di istruzione, ma piuttosto come opportunità generativa, capace cioè di introdurre al Mistero della vita”.
A fare la differenza – ha fatto capire – è la capacità di costruire “forti alleanze educative”, innanzitutto con la famiglia: “per un’insegnante che vive la passione educativa, non può risultare indifferente la famiglia del proprio alunno; tra l’altro, molto spesso conoscendo i familiari si possono intuire meglio i percorsi di quel ragazzo”. Quindi, tra i vari insegnanti della stessa scuola, ricordando che “l’educazione non ammette navigatori solitari: la comunità educante deve avere una coesione interna tale da incidere, come un diamante, sul cuore di quel ragazzo, realizzando, rispetto al clima culturale contemporaneo, quella che Benedetto XVI chiama una vera opera di ecologia umana”. Infine, occorre creare “alleanze educative con la società che ci circonda: Enti, Istituzioni civili, organismi presenti sul territorio locale, con cui è possibile e auspicabile creare feconde collaborazioni. La cultura vera ha bisogno di porte aperte per progettare insieme avendo a cuore il destino dell’uomo”.
Decisiva rimane, ha aggiunto il direttore sulla scorta degli Orientamenti pastorali del decennio, la cura per la qualità delle relazioni e l’attenzione a evangelizzare anche la cultura del tempo presente.